In quel tempo, sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci».
E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull'erba verde. E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero loro; e divise i due pesci fra tutti.
Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.
Commento
Spirito Santo, metti in me gli stessi sentimenti di Gesù, rendimi capace di vera compassione.
Questo testo lo abbiamo certo già incontrato: chi non conosce il racconto della “moltiplicazione dei pani”? Corriamo però il rischio di lasciare in secondo piano ciò su cui l’evangelista mette l’accento: “Gesù vide una gran folla, ebbe compassione di loro”. Questa compassione viene dalla volontà di Gesù di vedere le cose da un altro punto di vista. La com-passione, cioè “soffrire insieme”, nasce dalla capacità di cogliere la mancanza dell’altro, di farla propria. Non si tratta di volerla riempire: questo è un atto successivo, la moltiplicazione appunto, che nella nostra vita assume la forma della condivisione. Prima di tutto c’è una vicinanza di cuore, un desiderio di entrare nei sentimenti dell’altro. Poi viene la capacità di “prendere” la povertà incontrata, “alzare gli occhi al cielo” e offrirla al Signore, “spezzarla” e condividerla. Senza la compassione, la condivisione è atto volontaristico, forzato, vuoto. Senza condivisione, la compassione resta un atteggiamento interiore, inefficace, sterile. Come cristiani, spesso crediamo che la povertà sia solo qualcosa da curare. In realtà è anche qualcosa da vivere. Significa entrare nella logica della compassione. Come diceva don Tonino Bello, “la povertà deve essere intesa come condivisione alla sofferenza altrui”: nulla di più chiaro, nulla di più difficile per noi che siamo spesso troppo ripiegati su noi stessi. Sono capace di autentica “compassione” nei confronti di chi mi è vicino?
Oggi cerco di agire superando la tentazione di perseguire sempre il mio tornaconto.
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